Oh no! Il Gender!

La Corte Costituzionale nella sentenza n. 221 del 2015 ha affermato che la legge italiana riconosce “il diritto all’identità di genere quale elemento costitutivo del diritto all’identità personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della persona” garantiti dall’art. 2 della Costituzione e dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani.

Da qualche mese si parla del DDL Zan e del suo affossamento in Senato, uno dei punti del disegno di legge che avrebbe generato discordia tra le forze politiche e quindi il voto di sfiducia da parte di alcune di esse, sarebbe proprio quello sul riconoscimento dell’identità di genere. Qualche senatore ritiene che tutelare gli individui per il genere in cui si identificano equivarrebbe a fare “propaganda gender”, che fra parentesi, (mi dispiace deludervi ragazzi) non esiste.

Il pensiero reale dietro queste affermazioni però deriva da una errata concezione di sesso biologico e genere come due cose che devono necessariamente coincidere, quando la medicina stessa, come vedremo a breve ci indica il contrario.

Il sesso biologico si basa su vari fattori: il patrimonio genetico, gli organi genitali e il quadro ormonale. Sulla base di questi criteri osservati alla nascita, al bambino viene assegnato un sesso maschile o femminile, o entrambi, infatti oltre alle coppie di cromosomi più comuni, XX (femmina) e XY (maschio), sono possibili altre combinazioni (ad es. X0, XXY, …). Anche la forma degli organi genitali e la quantità di ormoni sessuali nel corpo sono variabili. Perciò sul piano genetico e ormonale, sia per quanto concerne l’aspetto degli organi genitali esterni ed interni, l’anatomia umana non si limita quindi alle sole categorie «maschio» e «femmina».

L’identità di genere è una componente dell’identità umana determinata dalla consapevolezza di sé e dal senso di appartenenza a un genere o a nessuna categoria di genere riconosciuta.

La maggior parte delle persone ne ha una coerente con il sesso a cui sono state assegnate al momento della nascita. In questo caso si parla di cisgenere. Le persone trans, invece, non si identificano o non si identificano completamente con il sesso loro assegnato. Un uomo trans è un individuo che si definisce uomo anche se è stato assegnato al sesso femminile. Una donna trans è una persona che è stata assegnata al sesso maschile ma si definisce donna. Alcune persone non si identificano né esclusivamente come uomo né esclusivamente come donna. Queste ultime sono definite non binarie. Quando il genere non corrisponde o non corrisponde del tutto al sesso a cui siamo stati assegnati, può nascere un disagio che sfocia spesso nella depressione, nell’autolesionismo e in disturbi d’ansia patologici, poiché ci si sente di non appartenere al corpo in cui si è costretti, che quindi diviene una prigione.

La stessa American Psychiatric Association ha sancito che «il non identificarsi nel genere assegnato alla nascita non è di per sé un disturbo mentale». La disforia di genere non è elencata né nella sezione delle disfunzioni sessuali né in quella dei disturbi parafilici, tra cui c’è per esempio il disturbo pedofilo. Una delle ragioni per cui si è passati dall’espressione “disturbo dell’identità di genere” a “disforia di genere” è che non si vuole marchiare le persone con disforia e allo stesso tempo si vuole garantire loro l’accesso a cure psichiatriche, ormonali e chirurgiche che possono essere richieste nelle loro situazioni.

Per quanto concerne l’Italia, l’Istituto Superiore di Sanità afferma che “L’identità di genere fa riferimento a come una persona si definisce rispetto al genere a cui sente di appartenere: una persona può definirsi uomo, donna o entrambi o come appartenente a un genere diverso da questi due. Tutte le identità di genere sono naturali (normali).” Ragion per cui non sono giustificabili posizioni di tipo repressivo nei confronti di chi non è cisgender.

Tutto lo “spiegone” sopra riportato sembrerebbe quasi un volersi giustificare, dire che infondo la comunità LGBT+ non merita tutte queste discriminazioni no? Negli ultimi anni è nata una sorta di tendenza a doversi scusare per ciò che si è, per come si è. Eppure a dover fare ammenda è chi tenta di reprimere l’identità altrui. Siamo cresciuti in una società che facendosi beffe del diritto all’identità di genere ha stabilito che certe cose fossero da maschi ed altre da femmine, che le bambine dovessero giocare con le bambole e i bambini con i soldatini. Vogliamo parlare dei cosmetici? Giornalisti e politici che hanno una certa rilevanza mediatica si sono definiti scioccati nel vedere cantanti, personaggi pubblici, o semplicemente uomini comuni indossare del trucco, gonne o abiti ritenuti “da donna”.

Come abbiamo visto in precedenza però questi binari in cui si cerca disperatamente di incanalare gli individui sono castelli di carta, dal punto di vista biologico, scientifico e sociale, semplificare il mondo in due categorie non solo è errato, ma controproducente, un uomo non è meno uomo se si trucca, una donna non è privata della sua femminilità se sceglie di non farlo e chi non appartiene a nessuno dei due generi non merita di subire discriminazioni dettate dall’ignoranza e dalla scarsa volontà di informarsi ; le opinioni personali non sono più libertà di espressione nel momento in cui comunicano odio, intolleranza e disprezzo verso ciò che non si comprende.

Alla luce di quanto detto, e di quanto abbiamo visto nei mesi passati, voglio farvi riflettere sull’immagine di un Senato che applaude di fronte alla negazione di diritti fondamentali per molte persone, si è gioito sulla pelle di chi non ha strumenti legali per difendersi se viene discriminato per aver commesso il grave peccato di voler vivere liberamente la propria identità.

Matilde Falsetti

Liceo Scientifico Galileo Galilei di Perugia

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